Circolare Agenzia del Territorio n. 4 del 16 maggio 2006
1. PREMESSA
Le problematiche connesse al classamento degli immobili a destinazione speciale e particolare, già di primaria rilevanza per gli aspetti fiscali e di notevole complessità per la specifica caratterizzazione ed evoluzione tipologica e funzionale, verificatesi nel tempo in questo settore immobiliare, hanno assunto significativa evidenza anche in relazione all’applicazione delle procedure previste dall’art. 1, comma 336, della legge n. 311 del 2004.
Detti mutamenti hanno progressivamente affievolito la rispondenza e l’efficacia del complessivo quadro di riferimento, costituito dall’insieme delle disposizioni ed indirizzi che dall’epoca di formazione del catasto edilizio urbano hanno disciplinato le modalità di classamento delle unità in esame, favorendo di conseguenza anche comportamenti non uniformi tra i diversi uffici operativi.
Per i motivi sopra indicati, detta tematica è stata già oggetto, specie nel corso dell’ultimo decennio, di documenti di prassi finalizzati a fornire linee guida in merito al classamento di specifiche fattispecie e tipologie edilizie. Ma l’ampiezza e la significatività dei richiamati mutamenti rende necessario un inquadramento della materia coerente con la mutata realtà del patrimonio esaminato e l’emanazione di indirizzi in tema di classamento delle unità immobiliari in parola, allo scopo di ricostituire un quadro di riferimento aggiornato, unitario ed idoneo a garantire l’uniformità di comportamenti degli uffici e dei tecnici professionisti abilitati alla presentazione di atti di aggiornamento in catasto.
Nella presente circolare, in coerenza con la normativa vigente e l’attuale quadro generale delle categorie, sono oggetto di approfondimento e di indirizzo le tematiche tecnico-giuridiche, concernenti le modalità di individuazione delle distinte
unità che di norma caratterizzano i compendi immobiliari D ed E, e di attribuzione alle stesse di specifiche e pertinenti categorie catastali. Si precisa, di contro, che non sono argomento di trattazione della presente circolare i pur rilevanti profili che attengono alla disciplina estimativa di determinazione della rendita catastale.
2. L’UNITÀ IMMOBILIARE URBANA: LA CORRETTA INDIVIDUAZIONE DEL MINIMO PERIMETRO IMMOBILIARE FUNZIONALMENTE E REDDITUALMENTE AUTONOMO
2.1 I riferimenti normativi
Per le unità iscrivibili nelle categorie dei gruppi D ed E riveste particolare rilevanza la problematica connessa alla corretta perimetrazione della singola unità immobiliare. Soccorrono a tal fine i riferimenti normativi desumibili dall’ordinamento catastale. Di fatto, il regio decreto legge 13 aprile 1939, n. 652, con le successive modificazioni e integrazioni, e la conseguente regolamentazione portata dal decreto del Presidente della Repubblica 1° dicembre 1949, n. 1142, hanno precisato, oltre allo scopo della formazione del catasto edilizio urbano ed ai criteri posti a fondamento delle relative stime, anche la nozione di “unità immobiliare urbana”1.
In particolare, il DPR 1142/49, nel rispetto dei principi della legge istitutiva, ha meglio precisato la nozione di unità immobiliare, semplificandone l’applicazione. Di fatto l’espressione generica «ogni parte di immobile» contenuta nell’art. 5 del RDL 652/39 è stata maggiormente precisata utilizzando, all’art. 40 del predetto decreto 1142/49, l’espressione «ogni fabbricato, porzione di fabbricato, o insieme di fabbricati» che ha esteso la nozione a tutti i casi possibili, atteso che l’unità immobiliare, come ben noto, può essere costituita sia da un fabbricato intero (convitto, scuola ecc.), sia da una porzione di fabbricato (appartamento, negozio, ecc.), sia infine da un insieme di fabbricati (opificio, ospedale costituito da diversi padiglioni ecc.).
1 Secondo l’art. 4 del RDL n. 652 del 1939 “Si considerano come immobili urbani i fabbricati e le costruzioni stabili di qualunque materiale costituite, diversi dai fabbricati rurali. Sono considerati come costruzioni stabili anche gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al suolo.” Il successivo art. 5 dello stesso RDL definisce il concetto di unità immobiliare urbana prevedendo che “si considera unità immobiliare urbana, ogni parte di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per sè stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio”. La successiva disposizione contenuta nell’art. 40 del DPR n. 1142 del 1949 specifica che costituisce una distinta unità immobiliare urbana “ogni fabbricato, o porzione di fabbricato od insieme di fabbricati che appartenga allo stesso proprietario e che, nello stato in cui si trova, rappresenta, secondo l’uso locale, un cespite indipendente”.
In secondo luogo, la formulazione sopra richiamata ha introdotto un importante nuovo elemento, cioè quello dell’appartenenza allo stesso proprietario, inteso come ditta catastale.
In terzo luogo, l’espressione «atta a produrre un reddito proprio» è stata ulteriormente affinata, in sede regolamentare, con la locuzione «che rappresenta, secondo l’uso locale, un cespite indipendente», la quale non solo chiarisce che l’unità deve essere idonea a produrre un reddito indipendente, e quindi avere autonomia funzionale e reddituale, ma collega le modalità di individuazione dell’unità immobiliare agli usi locali, come già era stato anticipato dall’Istruzione II per l’accertamento ed il classamento del 24 maggio 1942.
Per rendersi conto dell’importanza di tali perfezionamenti, si è già rilevato che il legislatore, con la suddetta nozione di unità immobiliare – che in sintesi identifica un’entità fisica, giuridica ed economica – è riuscito ad abbracciare tutta l’ampia casistica delle fattispecie immobiliari da accertare nel catasto edilizio urbano: dai complessi industriali alle infrastrutture di trasporto, dalle ordinarie unità residenziali, commerciali e terziarie site nei centri urbani a quelle tipiche dei luoghi ovvero ubicate nei piccoli centri rurali. La riconducibilità di tutta la variegata casistica appena descritta nell’ambito della nozione di unità immobiliare è stata possibile grazie al perfezionamento delle nozioni contenute nelle disposizioni richiamate, che consentono, più puntualmente, di caratterizzare l’unità immobiliare in base a due requisiti essenziali:
•
l’appartenenza allo stesso proprietario (ditta);
•
la configurazione di un cespite indipendente, inteso come “minimo perimetro immobiliare”, caratterizzato da autonomia funzionale e reddituale.
Più recentemente la nozione è stata consolidata e meglio precisata con l’art. 2 del decreto del Ministro delle Finanze 2 gennaio 1998, n. 28, che, al comma 1, ha previsto che “L’unità immobiliare è costituita da una porzione di fabbricato, o da un fabbricato, o da un insieme di fabbricati ovvero da un’area, che, nello stato in cui si trova e secondo l’uso locale, presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale” e, al comma 3, che sono da considerare unità immobiliari “anche le costruzioni ovvero porzioni di esse, ancorate o fisse al suolo, di qualunque materiale costituite, nonché gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al suolo, purché risultino verificate le condizioni funzionali e reddituali di cui al comma 1. Del pari sono considerate unità immobiliari i manufatti prefabbricati ancorché semplicemente appoggiati al suolo, quando siano stabili nel tempo e presentino autonomia funzionale e reddituale.”2
2.2 La rilevanza dei profili civilistici
E’ da osservare come anche il sistema di pubblicità immobiliare abbia storicamente utilizzato, a fini civilistici, i dati catastali, prevedendo che, nell’atto pubblico di trasferimento e/o costituzione di diritti reali e nella relativa nota di trascrizione, l’immobile debba essere individuato con i dati di identificazione catastale3. Tale principio ha trovato puntuale conferma nell’art. 2659 c.c., il quale identifica, tra l’altro, come contenuto necessario della nota di trascrizione “…l’indicazione della natura dei beni a cui si riferisce il titolo, con le indicazioni richieste dall’art. 28264…”, e cioè l’indicazione della sua natura, del comune in cui si trova, dei dati di identificazione catastale, nonché, per i fabbricati in corso di costruzione, i dati di identificazione catastale del terreno su cui insistono.
Inoltre, al fine di corrispondere alle esigenze connesse sia ad una corretta rappresentazione del territorio, che ad una puntuale individuazione di ogni porzione immobiliare ordinariamente oggetto di atti traslativi e/o costitutivi di diritti reali, era stato già in precedenza previsto che il catasto urbano acquisisse all’inventario anche i fabbricati non produttivi di reddito, in corso di costruzione, ovvero di definizione, nonché i lastrici solari e le aree urbane (oggi inquadrati nelle categorie del gruppo F).5 Infine, con l’emanazione del decreto del Ministro delle Finanze n. 701 del 1994 e l’adozione della procedura DOCFA, la tradizionale articolazione nelle due fasi di inventariazione delle unità immobiliari (aspetto civilistico) e di accertamento del relativo reddito (aspetto fiscale) è stata definitivamente superata, in quanto la parte interessata è stata investita dell’obbligo di proporre il classamento all’atto della dichiarazione di nuova costruzione o di variazione, previa univoca identificazione del bene immobile dichiarato o variato.
2 Nelle diverse definizioni di unità immobiliare sopra richiamate non si fa alcun riferimento ai materiali utilizzati, né
ai sistemi di assemblaggio degli stessi. Detti materiali potranno quindi essere, per le costruzioni poste sulla terra
ferma, di natura lapidea, di acciaio, ovvero di altra natura, e per quelle galleggianti, di natura lignea o ferrosa. Del
pari l’assemblaggio delle componenti costruttive potrà avvenire con la chiodatura, l’imbullonatura, la saldatura,
ovvero attraverso malte e calcestruzzi basati su reazioni chimico-fisiche dei relativi componenti.
3 E’ noto peraltro come anche la rappresentazione planimetrica dell’unità immobiliare risponde a precise finalit
civilistiche, oltre che fiscali.
4 Dettante criteri per l’individuazione dell’immobile oggetto di iscrizione ipotecaria ed innovato dall’art. 2659 c.c.,
come sostituito dall’art. 13 della legge 27 febbraio 1985, n. 52.
5 L’iscrizione nel catasto edilizio urbano delle aree scoperte e dei lastrici solari fu disposta dall’art. 15 del DPR n.
650 del 1972; mentre le unità collabenti, in corso di costruzione e di definizione furono introdotte dapprima con la
circolare della Direzione Generale del Catasto e dei Servizi Tecnici Erariali n. 2 del 20 gennaio 1984 e
successivamente codificate dall’art. 3 del DM 2 gennaio 1998, n. 28.
Al riguardo, non appare superfluo evidenziare come detto processo migliorativo della definizione dell’unità immobiliare, quale “modulo base” del catasto dei fabbricati, negli oltre cinquant’anni intercorsi dalla sua formulazione, abbia reso la relativa definizione progressivamente più rispondente alle finalità civilistiche e fiscali attribuite dal legislatore all’inventario catastale.
2.3 I limiti del criterio connesso alla “localizzazione”
Per quanto concerne gli immobili afferenti alle categorie dei gruppi D ed E, risulta frequente il caso in cui l’unità immobiliare coincida con un insieme di fabbricati in stretto legame funzionale tra di loro e facenti parte di un unico complesso a destinazione produttiva o commerciale.
In particolare, nel caso delle unità immobiliari da classare nel gruppo E, le istruzioni emanate negli anni immediatamente successivi all’istituzione del NCEU hanno fornito specifiche indicazioni – specie per quanto concerne le infrastrutture relative ai trasporti pubblici – per l’individuazione del contesto di riferimento, per determinare se un dato immobile faccia o meno parte dell’unità immobiliare oggetto di stima.
E’ stato cioè implicitamente definito un ulteriore criterio di qualificazione di carattere “localizzativo” come linea guida per la perimetrazione della unità immobiliare.
Un esempio particolarmente significativo è costituito dalla massima richiamata nell’appendice A dell’Istruzione II – Massime relative alla Individuazione delle Unità Immobiliari – che, al titolo “Costruzioni ferroviarie”, prevede che si accertino, come unica unità immobiliare, l’insieme degli immobili ferroviari costituenti ciascuna stazione. In particolare, la stessa previsione fa rientrare nella nozione di stazione una serie di altri beni6, purché siano interni al “recinto” della stazione medesima e situati nel tratto limitato dagli scambi estremi della stazione7.
Al riguardo è opportuno evidenziare come le linee guida, fornite nel massimario allegato alla citata Istruzione II, fossero da correlare alla constatazione del carattere prevalentemente strumentale dei beni immobili in parola, sebbene gli
6 Ad esempio fabbricati viaggiatori, locali adibiti ad uffici, alloggi, dormitori, ristoranti, caffè, rivendite di giornali, tabacchi e bar, locali del dopolavoro, magazzini merci, piani caricatori, cabine, fabbricati isolati per l’alloggio, ecc.. 7 In modo similare, nella stessa Appendice A, con riferimento alle autostrade, è stabilito che ogni fabbricato o gruppo di fabbricati costituente ciascuna stazione, sia accertato come unità immobiliare, anche se comprende
alloggi, dormitori, rivendite e magazzini.
stessi presentassero destinazioni non strettamente omogenee con le infrastrutture destinate al trasporto pubblico.
Di fatto si deve rimarcare come, fino alla prima metà del secolo XX, negli apparati di stazione le porzioni di immobili destinate alle attività non strettamente connesse al trasporto (come bar, rivendite e similari) costituivano in genere fattispecie marginali o comunque scarsamente frequenti e per di più i diritti reali in capo ai suddetti immobili erano di norma riconducibili allo Stato. In tale particolare contesto, dunque, ai fini del classamento, era stata attribuita maggiore rilevanza ai requisiti di “destinazione prevalente” e di “localizzazione” rispetto a quelli di autonoma utilizzabilità e redditività, nonché ai criteri oggettivi, quali la destinazione e le altre caratteristiche fisiche, di ogni “cespite indipendente”.
Nel periodo intercorso dall’epoca di formazione del Nuovo Catasto Edilizio Urbano all’attualità, come già precisato in premessa, sono intervenuti profondi mutamenti di natura oggettiva e soggettiva nella peculiare tipologia del patrimonio immobiliare in parola. In particolare, per le più rilevanti infrastrutture relative ai trasporti pubblici, si è assistito ad un progressivo e radicale processo di parcellizzazione delle attività con cessione a soggetti terzi di rami di attività collaterali a quello istituzionale, con una crescente attenzione all’utilità produttiva anche nella gestione dei servizi pubblici.
Detti fenomeni hanno, di fatto, mutato il quadro di riferimento, rendendo quindi necessaria una complessiva rivisitazione dei criteri di individuazione dei beni riconducibili nella nozione di unità immobiliare, sia essa stazione per trasporti terrestri, marittima, aeroportuale o portuale, ovvero di diversa destinazione funzionale.
Al riguardo, si ritiene che il citato criterio localizzativo necessiti di una rilettura che superi la nozione geografica di “recinto” e tenga conto della nuova realtà ed in particolare della destinazione funzionale e delle caratteristiche proprie di ciascuna unità immobiliare, in conformità a quanto stabilito dalla normativa catastale.
Più precisamente si ritiene che siano da ricomprendere nell’unità immobiliare-stazione esclusivamente gli immobili o loro porzioni strumentali all’attività del trasporto, vale a dire solo quegli immobili utilizzati a titolo esclusivo dal soggetto giuridico erogante il servizio pubblico per l’esercizio della propria specifica attività.
L’insieme degli immobili afferenti alla stazione, nel senso sopra precisato, non può pertanto essere riferito ad un luogo fisico continuo, ma ad un contesto astratto definito da relazioni strettamente funzionali. Il criterio localizzativo, cioè, non può costituire il parametro di riferimento essenziale, allorché nell’ambito del “recinto stazione” siano individuabili costruzioni o loro porzioni destinate ad attività, per così dire “non istituzionali”, in quanto non strettamente correlabili al trasporto.
Di conseguenza gli eventuali esercizi commerciali, immobili a destinazione ricettiva od altro, pur ricompresi nel recinto di una stazione od aeroporto (ad es. dutyfree, centri commerciali, dormitori, ostelli, depositi per le merci, bar, ristoranti, ecc.) devono essere censiti sulla base delle loro caratteristiche intrinseche derivanti dalla loro destinazione oggettiva e reale e non possono essere inglobati nell’infrastruttura utilizzata per trasporto pubblico, avente classamento nella categoria E/1.
Quanto precisato per le infrastrutture dei trasporti pubblici è chiaramente estensibile, analogicamente, a tutte le altre categorie caratterizzate da similari articolazioni funzionali.
Sull’argomento si segnala – fra l’altro – il recente orientamento della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 15863 del 28.7.2005, riguardante il classamento di unità immobiliari site in un’area portuale, ha statuito che ” … tutti i manufatti non adibiti a funzioni tipiche di una stazione portuale, ma destinati ad ordinarie utilizzazioni, non potevano essere collocati … nella categoria E solo perché ubicati nella zona portuale”.
3. IL CLASSAMENTO: PROFILI GENERALI
E’ d’obbligo innanzitutto sottolineare l’importanza di un corretto esame preliminare delle caratteristiche degli immobili in questione, finalizzato, da un lato, a verificare l’assenza dei requisiti per l’attribuzione di una delle categorie dei gruppi ordinari e, dall’altro, ad attribuire la categoria speciale o particolare più rispondente alle caratteristiche oggettive dell’immobile.
A tale scopo rileva prioritariamente la loro destinazione funzionale e produttiva; a parità di destinazione, si dovrà poi tenere conto delle specifiche caratteristiche tipologiche, costruttive e dimensionali, che differenziano gli immobili in esame dalle unità tipo o di riferimento8, rappresentative dei corrispondenti immobili di categoria ordinaria.
8 Cfr. art. 11, comma 1, del decreto legge 14 marzo 1988, n. 70, convertito con legge 13 maggio 1988, n. 154.
Sul piano operativo è comunque da osservare come, se per molte tipologie il carattere, speciale o particolare, è di semplice individuazione, in quanto è strettamente legato alla destinazione, per molte altre ciò non avviene, poichè la “caratteristica destinazione” non è sufficiente per determinare l’ordinarietà o meno dell’unità immobiliare. Ad esempio, è noto come i depositi ed i laboratori possono essere qualificati in categoria C/2 (depositi) e C/3 (laboratori artigianali), oppure nelle categorie D/1 (opifici), D/7 (fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività industriale) e D/8 (fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività commerciale). In questi casi, la scelta della categoria più rispondente alle caratteristiche dell’immobile dipende, evidentemente, anche dalle altre caratteristiche sopra menzionate, nonché dalla loro diversa localizzazione (centro urbano, zona industriale o commerciale appositamente attrezzata). Ma proprio la corretta valutazione di queste ultime caratteristiche – momento fondamentale del processo di classamento e di attribuzione della rendita catastale – può presentare aree di incertezze e criticità, come è dimostrato dal significativo contenzioso catastale connesso a tali specifici profili.
3.1. L’individuazione della categoria
Di seguito vengono esplicitati alcuni principi e criteri connessi all’individuazione della categoria catastale.
3.1.1 Riferimenti al principio dell’ordinariet
Al fine di pervenire ad un corretto classamento è rilevante richiamare l’attenzione sul significato che il legislatore – con riferimento all’articolazione del quadro di qualificazione e più in generale al sistema tecnico-estimale del catasto fabbricati – ha attribuito rispettivamente alle locuzioni “categoria speciale o particolare” e “categoria ordinaria”.
Dette locuzioni, peraltro di usuale utilizzo e di chiara accezione nella disciplina estimativa, assumono una più marcata connotazione nell’ambito dei procedimenti di stima massivi, come quello catastale.
In tale contesto, l’aggettivo “ordinario” assume il significato di “normale”, “frequente”, “diffuso”, nel senso che una determinata tipologia di unità immobiliare risponde a tale requisito quando è diffusa in una certa zona censuaria, talché è possibile definire un campione significativo di unità di riferimento e confronto, relativamente alle quali effettuare la stima per comparazione dell’intero segmento funzionale analizzato, attraverso il cosiddetto sistema catastale per classi e tariffe.
Di contro, gli aggettivi “speciale” e “particolare” hanno un significato, per certi versi, opposto a quello di “ordinario” e qualificano immobili “costruiti per le speciali esigenze di un’attività industriale o commerciale, e non suscettibili di una destinazione diversa senza radicali trasformazioni”, nonché “immobili, che per la singolarità delle loro caratteristiche, non sono raggruppabili in classi” omogenee. In questi casi, come è noto, la singolarità o comunque la scarsa diffusione di una determinata tipologia immobiliare nell’ambito della zona censuaria, rende impraticabile la suddetta metodologia di stima sintetico-comparativa e quindi necessaria la stima puntuale della medesima unità, spesso attraverso il ricorso a procedimenti estimativi indiretti, quali il costo di riproduzione deprezzato del bene, ovvero la capitalizzazione dei redditi immobiliari ordinari dallo stesso prodotti.
Sul piano generale, quindi, è del tutto coerente con quanto rappresentato l’individuazione a livello locale di elementi di soglia discriminanti, con riferimento particolare a parametri oggettivi quale quello dimensionale, che giustifichino l’inserimento in una delle categorie ordinarie, ovvero in una di quelle speciali o particolari. Ma dette soglie, laddove di fatto rilevate o rilevabili a livello locale, attraverso una dettagliata analisi del patrimonio immobiliare, devono rappresentare significativi elementi di discontinuità e di frontiera fra le unità ordinarie e le rimanenti tipologie.
3.1.2 Considerazioni circa il criterio connesso al cosiddetto “fine di lucro”
Oltre al richiamato principio di ordinarietà, un ulteriore fattore discriminante, come sottolineato in precedenza, è costituito dalla specifica finalizzazione dell’immobile ad “attività industriale o commerciale”, prevista dall’art. 8 del Regolamento, approvato con DPR 1° dicembre 1949, n. 1142.
Peraltro, già in precedenza il RDL 13 aprile 1939, n. 652, istitutivo del catasto edilizio urbano, aveva già previsto che gli opifici, i fabbricati di cui all’art. 28 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, destinati a teatri, cinematografi ed alberghi, nonché più in generale i fabbricati costruiti per speciali esigenze di una specifica attività industriale o commerciale (grandi magazzini, banche, stabilimenti di bagni, ecc.) costituissero un distinto gruppo di categorie, da denunciare ed accertare con specifiche modalità rispetto al patrimonio immobiliare “ordinario” (cfr., per quanto attiene i profili interpretativi, la relativa circolare esplicativa della Direzione Generale del Catasto e dei Servizi Tecnici Erariali n. 40 del 20 aprile 1939).
Al riguardo è da osservare come il quadro generale delle categorie – pubblicato nel 1942 in allegato alle Istruzioni II e IV della Direzione Generale del Catasto e dei SS.TT.EE – non appare rigorosamente in linea con le previsioni normative dal momento che introduce, per alcune categorie dei gruppi B, C, e D, il concetto del “fine di lucro”.
Detta innovativa locuzione, attesa la natura del provvedimento in cui è inserita, non poteva avere che carattere interpretativo della specifica finalizzazione ad “attività industriale o commerciale”, prevista dalle normative istitutive e regolamentari del catasto edilizio urbano. Nondimeno la stessa ha influenzato nel tempo l’adozione di prassi, che hanno individuato nell’esistenza o meno di un “fine di lucro”, correlato spesso alla natura del soggetto, il “criterio” discriminante anche per il classamento nelle categorie del gruppo D, ovvero in quelle del gruppo E.
Per le suddette considerazioni e tenuto conto anche delle circostanze richiamate in premessa, si esprime l’avviso che detto criterio, specie se correlato alla natura del soggetto intestatario, non possa essere discriminante e determinante per l’attribuzione della categoria.
Il tecnico, pertanto, indipendentemente dalla natura giuridica dei soggetti proprietari e dagli eventuali interessi pubblici perseguiti, nel condurre l’attività di classamento delle unità immobiliari del gruppo D, deve fare riferimento essenziale alle caratteristiche oggettive dell’immobile, che ne determinano la idoneità per le “speciali” esigenze di un’attività industriale e commerciale. Parimenti, in coerenza con le previsioni normative, il tecnico deve tenere conto soprattutto della “singolarità delle caratteristiche” delle unità del gruppo E, che ne impediscono oggettivamente il classamento in una categoria ordinaria o speciale9.
Peraltro, è carattere peculiare dei sistemi catastali il censimento degli immobili solo in funzione delle caratteristiche oggettive degli stessi e delle loro variazioni nel tempo e non in relazione a variazioni di natura soggettiva10.
In sintesi si ritiene che le unità immobiliari a destinazione commerciale in senso lato (cfr. art. 72 del DPR n. 645 del 1958), per le quali non sia possibile impostare la stima diretta per confronto con le unità di riferimento del gruppo C, debbano essere ricomprese nel gruppo D. Di contro la qualificazione nel gruppo E è propria di quegli immobili con una marcata caratterizzazione tipologico-funzionale,
Cfr. il precedente punto 3.1.1. 10 Per sottolineare le criticità, anche sul piano gestionale, di un diverso indirizzo, in via esemplificativa, si evidenzia come in molti casi gli immobili speciali o particolari (ad es. impianti di depurazione) sono gestiti in compartecipazione da Enti locali, la cui presenza non può protrarsi per un periodo superiore a due anni dalla costituzione della società stessa (cfr. art. 115 D. Lgs. 18.08.2000, n. 267 – Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).
costruttiva e dimensionale, tale da non permettere l’inserimento in categorie ordinarie o speciali e che esulano da una mera logica di commercio e di produzione industriale.11
3.1.3 Osservazioni in relazione ad alcune unità immobiliari a destinazione speciale, particolare ed ordinaria : casistica
a) Stazioni di distribuzione carburanti, chioschi
Per quanto esposto nel precedente paragrafo, nelle categorie del gruppo E vanno certamente classati gli immobili aventi destinazione ricompresa tra quelle di cui al secondo comma dell’art. 8 del DPR n. 1142 del 1949, vale a dire, oltre alle stazioni per servizi di trasporto terrestri e di navigazione interna, marittimi ed aerei, anche le fortificazioni, i fari, i fabbricati destinati all’esercizio del culto, le costruzioni mortuarie, e simili.
Si rappresenta in proposito che la prassi vigente prevede di attribuire la categoria E/3, che comprende “costruzioni e fabbricati per speciali esigenze pubbliche”, anche alle stazioni di servizio per la vendita dei carburanti, in conformità al dettato letterale del citato art. 8, e ai chioschi per bar ed edicole. E’ evidente che segnatamente, per le due ultime fattispecie, tale modalità operativa può essere confermata solo in presenza di costruzioni aventi caratteri “singolari” per tipologia costruttiva (precaria per l’uso di materiali leggeri), nonché per dimensione e diffusione ordinariamente contenuta. Solo dette costruzioni sono qualificabili propriamente come chioschi, che sotto il profilo catastale vengono censiti in E/3. Di contro ogni tipologia sufficientemente diffusa sul territorio, tale da poter costituire un insieme omogeneo di unità immobiliari raggruppabili in classi, in funzione degli specifici caratteri costruttivi – nonché ogni altro immobile o sua porzione, destinato ad ospitare attività collaterali rispetto all’attività di riferimento principale (distribuzione di carburanti e vendita giornali) – andrà censito nella categoria appropriata in base alla destinazione ed alle caratteristiche intrinseche. Tale ultima circostanza ricorre soprattutto nelle stazioni di distribuzione di carburanti, ove risultano spesso presenti immobili destinati ad attività commerciali o ricettive, le
11 Al riguardo è da sottolineare l’orientamento sempre più marcato del legislatore a correlare il sistema catastale ai caratteri tecnico-valutativi oggettivi degli immobili, lasciando al sistema impositivo la valutazione dei caratteri soggettivi e le eventuali agevolazioni connesse; in coerenza con questi criteri, in via esemplificativa, si cita la disciplina sulla ruralità dei fabbricati (cfr. DL 30 dicembre 1993, n. 557, convertito con modificazioni con la legge 26 febbraio 1994, n. 133; DM 2 gennaio 1998, n. 28; DPR 23 marzo 1998, n. 139).
quali, pertanto, non possono che avere rilevanza autonoma ai fini del classamento catastale.
b) Fiere, spazi espositivi, mostre, mercati, compendi commerciali et similia
Come è noto, nella categoria E/4 sono censiti gli immobili costituiti da speciali “recinti chiusi”, finalizzati ad ospitare mercati o ad essere utilizzati per posteggio bestiame. Detta locuzione è tratta dalla citata Istruzione IV, che nulla poteva prevedere, allora, in merito agli immobili adibiti a fiera campionaria. Al riguardo, è da evidenziare come l’attività fieristica interessi di norma più complessi immobiliari, che raggiungono anche una dimensione comprensoriale. Di fatto i complessi in questione sono in grado di ospitare anche in via permanente sezioni espositive e spazi ricettivi (musei, sale convegni ed attività connesse al ristoro ed all’ospitalità, ecc.), suscettibili di utilizzo autonomo. Inoltre, si evidenzia come le costruzioni ospitanti le attività fieristiche siano dotate ordinariamente di molteplici impianti tecnologici, come quelli antincendio, anti-intrusione e reti di distribuzione di energia e dati.
In tale contesto, occorre attribuire al nucleo fieristico la categoria D/8 – Fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni – ed a ciascuna porzione individuabile come cespite indipendente la categoria più appropriata.
Costituisce eccezione a tale indirizzo il caso in cui l’unità immobiliare destinata a fiera sia costituita soprattutto da aree scoperte, di volta in volta appositamente attrezzate con strutture e stand amovibili per le esigenze espositive, attrezzate unicamente con semplici costruzioni destinate a soddisfare le esigenze primarie (biglietteria, servizi igienici, accoglienza, etc.). Solo in tale fattispecie, che rappresenta una naturale evoluzione del concetto di “recinto”, l’unità immobiliare è censita nel gruppo E ed in particolare nella categoria E/4.
Ai fini dell’individuazione delle unità immobiliari e dell’attribuzione delle corrispondenti categorie, è opportuno applicare criteri analoghi a quelli adottati per i complessi commerciali, siti al di fuori dei centri abitati, denominati “outlet” che, pur essendo caratterizzati da servizi comuni, presentano unità commerciali autonome e capaci di produrre, con caratteri di ordinarietà, un reddito proprio.
Al riguardo è opportuno precisare come tra i caratteri ordinari rilevi anche quello di stabilità dimensionale e distributiva delle unità immobiliari presenti nei compendi commerciali in esame (outlet) ed in quelli assimilabili. Ne discende che, laddove dette unità siano caratterizzate da flessibilità planimetrica e volumetrica, in ragione di elementi mobili di partizione di un unico “open space”, che ne definiscono i perimetri ed i volumi in modo precario, le stesse possono essere oggetto di una denuncia unitaria con classamento nella categoria D/8.
c) Ripetitori e impianti similari
Rilevante importanza hanno assunto nel tempo anche le costruzioni tese ad ospitare impianti industriali mirati alla trasmissione o all’amplificazione dei segnali destinati alla trasmissione (via cavo o etere), alla regolazione di parametri quali la portata e la pressione dei fluidi (liquidi e gassosi), per l’uso civile o industriale, ovvero al trattamento delle acque reflue o dei rifiuti solidi. Dette attività ordinariamente sono tipiche di processi industriali o comunque produttivi e pertanto la categoria da attribuire agli immobili che le ospitano è da individuare nel gruppo D.
Tra le diverse tipologie dei manufatti in esame ha registrato negli ultimi anni una significativa diffusione sul territorio quella destinata ad ospitare gli impianti per la diffusione della telefonia mobile, che di norma risultano allocati su costruzioni già esistenti ovvero su aree di terreno all’uopo destinate.
Per questi immobili occorre preliminarmente stabilire se, in relazione alla normativa catastale ed alla specifica fattispecie analizzata, sussiste o meno l’obbligo della dichiarazione al catasto edilizio urbano.
Al riguardo è da osservare come nella prima fattispecie (impianti insistenti su costruzioni già censite), i manufatti in esame sono caratterizzati dalla presenza di una o più antenne ancorate a muri o sostenute da piccoli tralicci e dai relativi impianti elettrici ed elettronici.
In questi casi, qualora le apparecchiature elettroniche siano custodite nell’ambito di locali già esistenti, censiti ovvero censibili (anche come parti comuni dell’edificio), e non venga individuata una specifica area all’uopo destinata, i manufatti non necessitano di essere dichiarati in catasto; diversamente, laddove vengano individuati aree e locali (preesistenti o di nuova costruzione), destinati proprio ad ospitare le suddette apparecchiature, i manufatti in esame devono essere dichiarati in forma autonoma ovvero come variazione della preesistente unità immobiliare o parte comune dell’edificio.
La seconda fattispecie rappresentata, come già evidenziato, è relativa ad un’area di terreno, di solito recintata, all’interno della quale è installato su platea di calcestruzzo un traliccio cui sono fissate le antenne; in questo caso le apparecchiature elettroniche a corredo, sono di norma ubicate in manufatti di dimensioni diverse in pianta ed altezza. In questa fattispecie, qualora sussista un’ordinaria autonoma suscettibilità reddituale, l’obbligo dell’accatastamento dei manufatti risulta previsto dagli artt. 2 e 3 del DM 2 gennaio 1998, n. 28 Regolamento recante norme in tema di costituzione del catasto dei fabbricati e modalità di produzione ed adeguamento della nuova cartografia catastale, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 24 febbraio 1998, n. 45.
d) Porti turistici
Una notazione particolare richiedono i porti turistici, per i quali risultano assenti infrastrutture tese ad ospitare vettori deputati al trasporto pubblico di persone o merci e possano riscontrarsi condizioni di autonomia funzionale e reddituale. A detti porti deve essere attribuita la categoria D/8, in quanto gli stessi sono da equipararsi agli autosilos ed ai parcheggi. Come già in precedenza evidenziato per altre tipologie, anche nel caso in esame, qualora siano distinguibili porzioni immobiliari individuabili come unità autonome, ancorché presenti in un porto deputato al trasporto pubblico di persone o merci, occorre procedere al censimento di ciascuna di esse nella categoria pertinente12. Solo nel caso di struttura portuale finalizzata sia al soddisfacimento di attività commerciali, di servizi pubblici o privati, ovvero per l’ormeggio delle imbarcazioni da diporto, che non possa essere articolata in più unità immobiliari, il classamento è effettuato in relazione alla destinazione prevalente.
e) Altre tipologie
Per quanto concerne infine l’attribuzione della categoria più pertinente (ordinaria o speciale) ad immobili aventi particolari destinazioni funzionali, che possono essere compresi nei gruppi B, C o D, si osserva la necessità che vengano assunti, come linee guida, i criteri in precedenza richiamati in coerenza con i principi generali della normativa catastale, tenendo conto della presenza di eventuali consolidati orientamenti nei processi di classamento delle unità immobiliari a livello locale. In particolare si fa riferimento alle seguenti destinazioni:
-le case di cura e gli ospedali (B/2, D/4);
-i fabbricati ed i locali per esercizi sportivi (C/4, D/6);
12 Cfr. paragrafo 2.3.
-le stalle, le scuderie, le rimesse e le autorimesse (C/6, D/8);
-gli uffici pubblici (B/4, D/8);
-le caserme (B/1, D/8);
-le scuole (B/5, D/8).
Per quanto sopra rappresentato, di norma, viene attribuita una categoria ordinaria quando vi è rispondenza tra le caratteristiche tipologiche e reddituali degli immobili oggetto di classamento e quelle delle unità di riferimento del quadro di qualificazione (in base al quale è stato definito il prospetto tariffario), tenendo comunque conto dei caratteri che maggiormente contraddistinguono e qualificano a livello locale le diverse tipologie del patrimonio censito. Di contro il classamento nella categoria speciale è previsto per immobili i cui caratteri particolari non sono riferibili a nessuna delle categorie presenti, ovvero da istituire, in quanto costruiti per le speciali esigenze di un’attività industriale o commerciale e non suscettibili di altra utilizzazione senza radicali trasformazioni.
3.2. I rapporti tra la normativa catastale e quella urbanistico-edilizia
Fra i quesiti pervenuti, particolare rilevanza assumono quelli che richiedono chiarimenti sulle eventuali connessioni fra la disciplina catastale e quella urbanistico-edilizia. Come già in precedenza rappresentato, il classamento delle unità immobiliari ordinarie è basato esclusivamente sul confronto, a livello locale, fra le caratteristiche intrinseche ed estrinseche di ciascuna unità oggetto di esame e quelle ordinariamente associate alle tipologie presenti nel quadro di qualificazione, che assumono concreta evidenza nell’universo delle unità similari (in origine soltanto quelle definite “tipo”) censite in ciascuna categoria catastale. Pertanto si ritiene doveroso ribadire, in questa sede, la piena autonomia dell’ordinamento catastale rispetto a quanto dettato dalle norme urbanistiche, ovvero afferenti a specifici settori ed attività di esercizio.13
Le disposizioni che regolamentano la prassi catastale, infatti, sono tutte incardinate nella disciplina dettata dall’art. 6 del Regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 1° dicembre 1949, n. 1142, che, in merito alla qualificazione, dispone quanto segue: “La qualificazione consiste nel distinguere
13 Un esempio tipico è costituito dalle residenze turistiche alberghiere, che sono generalmente composte da una struttura alberghiera intesa in senso tradizionale e da abitazioni con ingresso del tutto autonomo dalle strade pubbliche; in relazione alle situazioni di fatto, si potrà ragionevolmente attribuire alla prima la categoria D/2 ed alle seconde una delle pertinenti categorie del gruppo A.
per ciascuna zona censuaria, con riferimento alle unità immobiliari urbane in essa esistenti, le loro varie categorie ossia le specie essenzialmente differenti per le caratteristiche intrinseche che determinano la destinazione ordinaria e permanente delle unità immobiliari stesse”. Più in particolare l’Istruzione II della Direzione Generale del Catasto e dei Servizi Tecnici Erariali del 24 maggio 1942, al § 22, stabilisce che: “Per la destinazione e per le altre qualità intrinseche che determinano la categoria, si avrà riguardo alle caratteristiche costruttive ed all’uso appropriato dell’unità immobiliare (omissis)”.
La piena autonomia della disciplina catastale è altresì desumibile dal decreto del Ministro delle Finanze 19 aprile 1994, n. 701, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 dicembre 1994, n. 300, nonché dai conseguenti modelli del programma informatico denominato “DOCFA”, utilizzati per le dichiarazioni delle unità immobiliari, dove non risulta riscontrabile alcun riferimento a norme diverse da quelle di settore.
3.3. I rapporti tra la normativa catastale e quella fiscale per alcune specifiche tipologie di immobili
3.3.1 Le abitazioni ed i fabbricati strumentali all’attività agricola
Come è noto, alle nove categorie afferenti agli immobili a destinazione speciale, originariamente previste dal quadro di qualificazione nazionale allegato alle istruzioni II e IV, si è aggiunta, ai sensi del citato DPR n. 139 del 1998, la categoria D/10 relativa ai “Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole”.
In detta categoria – secondo l’art. 1, comma 5, del citato DPR – devono essere classate “le costruzioni strumentali all’esercizio dell’attività agricola diverse dalle abitazioni, comprese quelle destinate ad attività agrituristiche, ……, nel caso in cui le caratteristiche di destinazione e tipologiche siano tali da non consentire, senza radicali trasformazioni, una destinazione diversa da quella per la quale furono originariamente costruite”.
La disposizione citata prescrive quindi, per l’attribuzione della categoria D/10, sia la verifica della strumentalità, sia la presenza di caratteristiche tali da non consentire senza radicali trasformazioni una destinazione diversa da quella per la quale l’immobile fu originariamente edificato.
Il Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con DPR 22 dicembre 1986, n. 917, all’art. 3214, riconosce la ruralità, ai fini fiscali, alle costruzioni strumentali per le attività agricole, di cui all’art. 42 di seguito richiamato.
In particolare sono riconosciute rurali le costruzioni, appartenenti al possessore o all’affittuario dei terreni, che servono:
a) all’abitazione delle persone addette alla coltivazione della terra, alla custodia dei fondi, del bestiame e degli edifici rurali e alla vigilanza dei lavoratori agricoli, nonché dei familiari conviventi a loro carico, sempre che le caratteristiche dell’immobile siano rispondenti alle esigenze delle attività esercitate;
b) al ricovero degli animali di cui alla lettera b) del comma 2 dell’articolo 3215;
c) alla custodia delle macchine, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione;
d) alla protezione delle piante, alla conservazione dei prodotti agricoli e alle attivit
di manipolazione e trasformazione di cui alla lett. c) del comma 2 dell’articolo
3216 .
L’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, ha inoltre modificato l’art. 2135 c.c., introducendo tra le attività di competenza dell’imprenditore agricolo anche quelle “connesse” alla “coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento di animali”, delle quali, peraltro, è fornita una dettagliata esemplificazione.
Il comma 2 dello stesso articolo ha chiarito che la qualifica di “imprenditore agricolo” può essere posseduta anche dalle cooperative dei medesimi imprenditori ed i loro consorzi, quando utilizzano per lo svolgimento delle attività agricole, “prevalentemente prodotti dei soci, ovvero forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico”.
Le norme citate hanno innovato significativamente la disciplina del T.U. n. 917 del 1986, in quanto hanno fatto rientrare nelle costruzioni strumentali all’attivit
14 Rivisitato in modo rilevante, per i profili di interesse dell’Agenzia, dall’art. 2, comma 6, della legge 24 dicembre
2003, n. 350, come modificato dall’art. 15 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99.
15 “Sono considerate attività agricole:
a) le attività dirette alla coltivazione del terreno e alla silvicoltura;
b) l’allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno e le attività dirette alla
produzione di vegetali tramite l’utilizzo di strutture fisse o mobili, anche provvisorie, se la superficie
adibita alla produzione non eccede il doppio di quella del terreno su cui la produzione insiste”.
16
“Le attività di cui al terzo comma dell’art 2135 del codice civile, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, omissis”.
agricola, tra le altre, anche quelle destinate ad ospitare attività di commercializzazione e valorizzazione dei prodotti agricoli. La strumentalità va, inoltre, correlata anche alle specifiche disposizioni dell’art. 2135 c.c. e, di conseguenza, alla nozione di imprenditore agricolo specificata dall’art. 2, comma 2, del D. Lgs. n. 228 del 2001.
Nel caso in esame occorre analizzare se, ordinariamente, le attività svolte nei complessi in questione siano sicuramente riconducibili all’attività dell’impresa agricola o, di contro, possano essere correlate ad attività di tipo industriale o commerciale. In ossequio pertanto ai principi dettati dal testo unico delle imposte dirette, deve valutarsi – a prescindere dalla natura e caratteristiche, nonché dalla possibilità o meno di destinarli ad una funzione diversa senza radicali trasformazioni – se gli immobili siano strumentali “per destinazione” alle attività agricole, cioè se siano utilizzati esclusivamente per l’esercizio d’impresa da parte del possessore nelle attività menzionate dall’art. 32 (già 29) del citato testo unico.
E’ evidente che il combinato disposto dell’art. 32, come modificato dalle norme citate, e dell’art. 42 del testo unico, ha sottratto all’Ufficio la pratica possibilità di discernere la ruralità del fabbricato sulla base delle destinazioni sopra richiamate, avendo di fatto ricompreso nella dizione di “attività connessa”, caratterizzante la ruralità del fabbricato, anche quelle più specificamente afferenti alla trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli. L’unica reale discriminante per definire la concreta strumentalità all’attività agricola effettivamente praticata ed, in ultima analisi, la ruralità del fabbricato, risiede quindi nella compatibilità delle caratteristiche tipologico-funzionali con l’effettiva produzione del fondo al quale è asservito, circostanza, quest’ultima, che deve, quindi, costituire oggetto di specifica verifica ai fini del corretto classamento.
L’attività degli Uffici sarà pertanto finalizzata a verificare che negli immobili da accertare vengano esercitate prevalentemente le attività di cui all’art. 32 del TUIR, con riferimento ad una percentuale di prodotti provenienti dal fondo a cui sono asserviti i fabbricati (o meglio le unità immobiliari) superiore al 50%.
Qualora venga accertata tale circostanza, gli immobili devono essere considerati, in linea oggettiva, strumentali all’attività agricola esercitata sul fondo e pertanto classati in D/10 (Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole). Nel caso contrario, il classamento deve essere effettuato in D/7 o in D/8, laddove sia prevalente, rispettivamente, la funzione di trasformazione industriale dei prodotti agricoli, ovvero quella di commercializzazione dei suddetti prodotti.
Si evidenzia, inoltre, quanto previsto dall’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 139, secondo cui “Ai fini inventariali, le unità immobiliari già censite al catasto edilizio urbano non sono oggetto di variazione qualora vengano riconosciute rurali… ”.
Detta disposizione si riferisce specificamente ai fabbricati riconosciuti rurali ed appare pertanto non riferibile a fabbricati strumentali come sopra definiti (iscrivibili nella categoria D/10). La norma in esame, pertanto, va “storicamente” letta ed interpretata nell’ottica delle tradizionali modalità di inventariazione degli stessi nel catasto terreni, ovvero nel catasto urbano, a seconda dell’acquisizione o della perdita dei requisiti di ruralità. In questa ultima fattispecie, venendo meno la strumentalità del bene all’attività agricola effettivamente praticata, viene meno anche il requisito che caratterizza oggettivamente la destinazione del bene stesso che, pertanto, deve essere oggetto di dichiarazione in catasto ai sensi dell’art. 20 del R.D.L. n. 652 del 1939.
In definitiva, le condizioni sulle quali si fonda il possesso o meno del carattere di strumentalità all’attività agricola hanno quindi sia carattere soggettivo17 che oggettivo.
L’applicazione delle agevolazioni fiscali per le costruzioni che soddisfano i requisiti della ruralità, in quanto strumentali ai fini dell’attività agricola, sono di competenza degli uffici preposti all’accertamento dei vari tributi, a richiesta dei quali, gli Uffici provinciali dell‘Agenzia del territorio forniscono la consulenza tecnica prevista dai compiti istituzionali per la verifica della sussistenza o meno dei caratteri oggettivi delle costruzioni e dei terreni asserviti.
Con questa impostazione, il legislatore ha voluto prevedere la piena autonomia tra il profilo catastale (costituzione dell’inventario completo) e quello fiscale (imposizione o esenzione sulla base delle redditività oggettive, comunque riportate in catasto).
La delicata problematica è stata trattata con le circolari nn. 109/E del 24 maggio 2000, 50/E del 20 marzo 2000 e 96/T del 9 aprile 1998, emanate dagli ex Dipartimenti delle Entrate e del Territorio.
17 I requisiti di natura soggettiva, diversificati tra immobili a destinazione residenziali e gli altri, sono assicurati di norma dalla presenza gestionale di un soggetto coltivatore diretto ovvero imprenditore agricolo, qualifica che, come detto, può attribuirsi anche ad una cooperativa. Questa ultima comunque deve avere, nell’oggetto sociale, a titolo principale, lo svolgimento di un’attività connessa all’ambito agricolo.
In conseguenza di questa scelta si vengono a trovare iscritti nel catasto dei fabbricati costruzioni (abitazioni ed annessi agricoli) con rendita attribuita, al pari di tutte le altre unità immobiliari urbane, ma che sono invece strumentali ai fini dell’attività agricola e quindi esenti da imposta sui redditi dei fabbricati.
Riepilogando sinteticamente, si può affermare che le costruzioni strumentali all’esercizio dell’attività agricola, in relazione alle specifiche caratteristiche e destinazioni, potranno essere censite o come unità a destinazione abitativa in una delle pertinenti categorie del gruppo A, ovvero come unità destinate ad attività produttive agricole, nella citata categoria D/10, semprechè le caratteristiche di destinazione e tipologiche siano tali da non consentire, senza radicali trasformazioni, una destinazione diversa da quella per la quale furono originariamente costruite. Nel caso contrario, di ordinarietà delle caratteristiche delle costruzioni rurali ad uso produttivo, queste potranno essere censite nelle categorie ordinarie più consone (C/2, C/3, C/6, C/7, ecc.)18.
In particolare, rientreranno nella categoria speciale “D/10 – Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole” quegli immobili per i quali la strumentalità sia desumibile da criteri oggettivi, direttamente riscontrabili per l’utilizzo che ne viene fatto, riconducibile prevalentemente alle attività connesse al settore agricolo di cui all’art. 32 del testo unico ed esercitate prevalentemente nel fondo al quale gli immobili sono asserviti.
3.3.2 L’agriturismo
Ai sensi dell’art. 2 della recente legge 20 febbraio 2006, n. 96, “Per attività agrituristiche si intendono le attività di ricezione e ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, anche nella forma di società di capitali o di persone, oppure associati fra loro, attraverso l’utilizzazione della propria azienda, in rapporto di connessione con le attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali” (comma 1). Inoltre nello stesso articolo, al comma 2, viene precisato che: “Possono essere addetti allo svolgimento dell’attività agrituristica, l’imprenditore agricolo e i suoi familiari ai sensi dell’art. 230-bis del codice civile, nonché i lavoratori dipendenti a tempo determinato, indeterminato e parziale19 …”.
Concetto ribadito dalla Circolare n. 96/T del 09 aprile 1998. 19 “Rientrano fra le attività agrituristiche: a) dare ospitalità in alloggi o in spazi aperti destinati alla sosta di campeggiatori;
In sintesi, i requisiti essenziali, oggettivi e soggettivi, che configurano e caratterizzano l’attività di agriturismo sono:
– l’esistenza di un’azienda agricola condotta da un imprenditore agricolo ai sensi dell’art. 2135 c.c.;
– l’espletamento di un’attività di ricezione ed ospitalità in strutture interne all’azienda suddetta;
– la prevalenza delle attività agricole (dirette o connesse) rispetto a quella di gestione dell’agriturismo;
– la somministrazione prevalente di prodotti propri o derivati da materie prime direttamente provenienti dal fondo.
L’art. 3 della norma suddetta, recante disposizioni per l’utilizzazione di locali per attività agrituristiche, dispone inoltre, al comma 1, che “Possono essere utilizzati per attività agrituristiche gli edifici o parte di essi già esistenti nel fondo…. I locali utilizzati ad uso agrituristico sono assimilabili ad ogni effetto alle abitazioni rurali. (omissis)”.
Da quanto rappresentato ne discende che gli immobili da classare in D/10, in funzione dell’attività agrituristica in essi espletata, sulla base del D.P.R. n. 139 del 1998, sono sia quelli aventi caratteri di ruralità, in quanto immobili propriamente strumentali all’attività agricola (è il caso di locali adibiti ad un utilizzo ricettivo nella stessa abitazione dell’imprenditore agricolo), sia eventuali altri immobili ricompresi all’interno dell’azienda agricola, trasformati o costruiti ex novo, destinati segnatamente alla ricezione ed ospitalità dei clienti nell’ambito dell’attività agrituristica. L’inclusione di tale attività tra quelle “connesse” al settore agricolo, pertanto, fa sì che gli immobili in questione possano definirsi, in senso lato, strumentali.
I controlli che gli Uffici periferici dovranno effettuare per l’accertamento della sussistenza dei requisiti necessari per il classamento degli immobili in parola nella
b) somministrare pasti e bevande costituiti prevalentemente da prodotti propri e da prodotti di aziende agricole della zona, ivi compresi i prodotti a carattere alcolico e superalcolico, con preferenza per i prodotti tipici … ;
c) organizzare degustazioni di prodotti aziendali ivi inclusa la mescita di vini … ;
d) organizzare, anche all’esterno dei beni fondiari nella disponibilità dell’impresa, attività ricreative, culturali didattiche, di pratica sportiva, nonché escursionistiche e di ippoturismo, anche per mezzo di convenzioni con gli enti locali, finalizzati alla valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale”.
categoria D/10, sulla base delle indicazioni contenute nella normativa statale e regionale, dovranno avere ad oggetto:
•
il riscontro del rapporto di connessione e complementarità fra le attività agrituristiche e quelle di coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento del bestiame “che devono comunque rimanere prevalenti”, con riferimento al tempo di lavoro necessario all’esercizio di dette attività;
•
la somministrazione dei pasti e delle bevande che deve essere costituita “prevalentemente da prodotti propri e da prodotti di aziende agricole della zona”;
•
la localizzazione degli ambienti dedicati all’ospitalità che deve essere interna all’azienda agricola;
•
i limiti stabiliti dall’ordinamento statale o regionale riguardanti il numero dei posti letto, delle piazzole di sosta per i campeggiatori, degli spazi dedicati alla refezione.
Va chiarito, inoltre, che si ritengono compatibili con l’attività agrituristica, ed in genere con la ruralità dell’immobile, la destinazione residenziale, cui è attribuita una delle categorie del gruppo A20, e gli immobili con classamento nelle categorie C/2, C/3, C/6 e C/7.
Non appare superfluo evidenziare che, qualora, vengano meno i requisiti di ruralità che caratterizzano l’attività agrituristica, presi a riferimento per l’attribuzione della categoria D/10, i soggetti titolari iscritti in catasto hanno l’obbligo di presentare specifica dichiarazione di variazione, al fine di non incorrere nelle sanzioni previste dalla legge.
4. CONCLUSIONI
Come precisato in premessa, con la presente circolare si è inteso fornire un quadro di riferimento aggiornato ed idoneo a garantire l’uniforme operatività degli uffici e dei tecnici professionisti sulle corrette modalità di individuazione e classamento delle unità immobiliari censibili nei gruppi speciali e particolare D ed E. In particolare sono stati forniti indirizzi circa la corretta individuazione del “modulo di base” del catasto edilizio urbano, inteso come “minimo perimetro immobiliare
20 Fanno eccezione le unità immobiliari con classamento nelle categorie A/1 e A/8, ovvero quelle aventi le caratteristiche di lusso previste dal DM 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969 (cfr.: art. 2 DPR 23 marzo 1998, n. 139).
funzionalmente e redditualmente autonomo”, nonché criteri operativi per il classamento della unità in esame, in base ai principi generali indicati dalla normativa istitutiva ed attuativa del catasto edilizio urbano, che in sintesi si identificano:
– per le categorie ordinarie, nell’ordinarietà dei caratteri e nel livello di diffusione sul territorio; circostanze che hanno permesso – all’epoca della formazione o successivamente – la creazione di insiemi di immobili, omogenei per i caratteri intrinseci (categorie) e reddituali (classi);
– per le categorie speciali, nella specifica caratterizzazione tipologica, costruttiva e dimensionale degli immobili (tali da non permetterne una utilizzazione diversa senza radicali trasformazioni) e nella finalizzazione degli stessi a speciali esigenze industriali e commerciali;
– per le categorie particolari, nella “singolarità” delle destinazioni e delle caratteristiche tipologiche, costruttive e dimensionali degli immobili: circostanza quest’ultima che non ha permesso in fase di formazione o conservazione, la creazione di insiemi omogenei per caratteri intrinseci (categorie ordinarie) e tanto meno per redditività (classi).
Con riferimento ai menzionati indirizzi, gli Uffici provinciali sono invitati ad adeguare le procedure di verifica delle dichiarazioni di nuova costruzione e di variazione, dandone comunicazioni ai locali Ordini e Collegi professionali.
Si fa presente infine che, allo scopo di agevolare l’operatività degli Uffici, è in corso di elaborazione una raccolta dei principali indirizzi e massime in tema di individuazione dell’unità immobiliare e di attribuzione della categoria, emanate sia in fase di formazione che di conservazione del catasto edilizio urbano. Tale raccolta sarà resa disponibile unitamente ad ulteriori specifici indirizzi operativi.
Al riguardo si ritiene opportuno sollecitare gli Uffici a rappresentare specifici casi in trattazione, in particolare ove abbiano rilevanza generale, in modo che la suddetta raccolta possa essere integrata ed abbracciare nella misura più ampia possibile l’articolata casistica che il patrimonio edilizio evidenzia nei diversi contesti locali.
Le Direzioni regionali e gli Uffici provinciali, per quanto di competenza, vorranno verificare ed adeguare i comportamenti organizzativi, al fine di attuare gli indirizzi operativi emanati con la presente circolare.